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 Il Genocidio avviene tra il 1975 e il 1978. La Cambogia è un Paese del Sud-Est Asiatico confinante con il Vietnam. Colonizzato dai Francesi, nel 1953 diventa uno Stato indipendente sotto la guida del principe Norodom Sihanouk, rovesciata nel 1970 da un colpo di Stato del generale Lol Non, appoggiato dagli Stati Uniti. Dopo una dura campagna contro i comunisti e i vietnamiti presenti nel Paese, nel 1975 il potere passa ai Kmer Rossi, un piccolo gruppo di estrazione leninista popolare soprattutto nelle zone rurali del nord, che proclama la Repubblica della Kampucea Democratica. Fino a quel momento la popolazione era composta per l’80% dall’etnia Kmer. Le principali minoranze erano: i monaci buddisti (60.000 circa), i musulmani Cham (100.000 circa), i cattolici, i vietnamiti e i cinesi che controllavano quasi totalmente il commercio. Il bilancio complessivo delle persecuzioni rimane incerto per la carenza di documentazione. Il numero delle vittime è stato stimato tra 1.500.000 e 1.800.000. Considerando che la Cambogia all’epoca contava circa 7.500.000 abitanti, il tasso di mortalità media rilevato tra il 1975 ed il 1978 oscilla tra il 20% e il 29% della popolazione. I Kmer Rossi, spinti dalla necessità di trovare sempre nuovi “nemici oggettivi”, sterminarono la popolazione seguendo il criterio della dicotomia città/campagna e, in subordine, quello temporale, che distingueva tra “nuovi”e “vecchi cittadini”. Sommati tra loro, i due criteri produssero un tasso di mortalità pari a circa il 40%, tra gli abitanti delle zone urbane, mentre in quelle rurali la media si attestò attorno al 10%. nascondi In primo luogo furono uccisi i presunti avversari politici: i dirigenti del precedente regime e gli ufficiali dell’esercito (82,6%), i poliziotti (66,7%) e soprattutto i magistrati, sterminati al 99%. Per quanto riguarda le minoranze, fu eliminato l’84% dei monaci buddisti, il 33,7% dei musulmani Cham, il 48,6% dei cattolici, il 38,4% dei cinesi e il 37,5% dei vietnamiti.  La responsabilità e l’attuazione del progetto genocidario vanno individuate all’interno del movimento dei Kmer Rossi e più precisamente tra i cosiddetti “Grandi Fratelli”, un gruppo composto da 20-25 persone unite da esperienze e percorsi educativi simili evidenziabili in quattro tappe principali: la permanenza in Francia negli anni 50, dove iniziò la loro formazione ideologica, il periodo di opposizione al principe Sihanouk, gli anni trascorsi in clandestinità nella giungla cambogiana, dove si rifugiarono quando furono incriminati di alto tradimento dal governo di Lol Non per le loro idee comuniste, l’aver vissuto i momenti salienti della rivoluzione culturale cinese. I principali esponenti dei “Grandi Fratelli” furono Pol Pot (il Fratello Numero Uno), Ieng Sary, Son Sen, Hou Youn, Hu Nim, Khieu Samphan e Duch, direttore del tristemente celebre campo S-21, la principale istituzione carceraria della Kampucea democratica. Gli esecutori materiali vennero reclutati tra i piccoli e medi quadri del Partito comunista, di basso livello culturale, insieme a 60.000 giovanissimi soldati-contadini scelti appositamente perché non “contaminati” dal capitalismo urbano né dal sistema scolastico imperialista. Il partito comunista cambogiano si caratterizzò per la sua estrema condizione di isolamento e segregazione rispetto agli altri partiti comunisti del Sud Est asiatico: un partito molto piccolo in termini numerici, che temeva di essere eliminato con facilità dai suoi oppositori. Questi tre elementi spinsero i Kmer Rossi a imporre il più ferreo controllo su ogni ambito della società, con l’esclusione di qualsiasi margine, anche minimo, di dialettica politica e di spazio individuale e la realizzazione del genocidio in tempi ristretti e con modalità ancor più radicali che nei modelli maoista e staliniano. La pianificazione avvenne durante il periodo di clandestinità nella giungla, dove i “Grandi Fratelli” svilupparono una versione ortodossa del comunismo fondata su un’esasperata visione antiurbana e anticittadina e un irrealistico progetto economico su base rurale incentrato sulla coltivazione del riso. La conseguenza di questo isolamento fisico, geografico e ideologico fu determinante nell’evoluzione del pensiero e della linea politica di Pol Pot, una volta preso il potere. In realtà non si può parlare di una pianificazione lineare e coerente, poiché vifu, molto più velocemente che negli altri regimi totalitari comunisti, una continua riedizione del “nemico oggettivo” da combattere.  Esisteva comunque un piano strategico di eliminazione su base “sociologica”, che applicava il criterio socio-territoriale e le dicotomie città-campagna e borghese-contadino per individuare il nemico da colpire. I “Grandi Fratelli” avevano conosciuto l’ideologia comunista durante gli studi a Parigi e la frequentazione del PcF (Partito comunista Francese). Il PcF era un partito a forte influenza staliniana, i cui principi ispiratori traevano origine da un atteggiamento antisociale, dal convincimento che la lotta politica fosse basata esclusivamente sul rapporto amicus/hostis e dal fondamentale valore risolutivo conferito alla violenza. Proprio quando il movimento dei Kmer Rossi stava conquistando il potere in Cambogia, il divampare della rivoluzione culturale cinese (1966-75) accentuò il valore attribuito alla rivoluzione permanente e all’accesso dei più poveri al potere. Inoltre, il regime dei Kmer Rossi utilizzò il concetto di razza come pretesto propagandistico per meglio giustificare le persecuzioni dei “nemici del popolo”. L’aspetto strumentale di tale impostazione è ben evidenziato dal fatto che il genocidio colpì indiscriminatamente anche l’etnia Kmer. L’odio nei confronti della classe dirigente delle città, simbolo di un’economia corrotta e oppressiva, idealmente coniugata al mondo occidentale e all’imperialismo, fu un potente detonatore. In primo luogo fu attuata l’eliminazione degli elementi legati al vecchio regime, ormai contaminato dal capitalismo. Importante rilevare l’aspetto “igienista” del genocidio cambogiano, mutuato da quello sovietico: il terrore di massa leninista intendeva purificare la terra russa, eliminando gli “insetti nocivi”. In questo senso si possono leggere gli eccidi come il tentativo di estirpare dalla società Kmer il suo “tumore borghese”. In secondo luogo furono pianificate le deportazioni di centinaia di migliaia di persone dalle città alle campagne, sia per fini rieducativi (liberarsi dagli aspetti borghesi e dal cancro del commercio) sia per dar vita all’illusorio piano economico basato sulla primitiva “economia del chicco di riso”. Il maggior numero di decessi ebbe luogo durante i trasferimenti con marce forzate dalla città alla campagna, ma anche chi sopravvisse non trovò miglior sorte nei campi di lavoro, posti in zone malsane ad alta incidenza malarica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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