Il viaggio di Fanny, regia di Lola Doillon, con Léonie Souchaud, Fantine Harduin, Juliane Lepoureau, Ryan Brodie, Anaïs Meiringer, Francia 2016.

Seconda guerra mondiale. Molte famiglie d’origine ebraica perseguitate dal regime nazista, si trovano costrette ad affidare i propri bambini a piccole organizzazioni clandestine che li accudiscano e li proteggano mentre, al contempo, cercano di nascondere la loro identità Fanny, un’ebrea dodicenne, separata insieme alle sue due sorelle dai genitori, è costretta dalle circostanze a scappare dal proprio rifugio assieme a un folto gruppo di bambini, per cercare riparo in Svizzera.
Lola Doillon ha portato sullo schermo la vicenda reale di Fanny Ben-Ami narrata nel suo romanzo autobiografico. Oggi la donna ottantaseienne vive a Tel Aviv dove la regista l’ha incontrata. Ne è nato un film che ha una doppia valenza. È infatti in grado di parlare ai più giovani portandoli a conoscenza di una vicenda che va conosciuta perché, come afferma la stessa Fanny oggi. “Desidero che il mio messaggio venga compreso, affinché alcune cose non si ripetano. Viviamo in un’epoca molto fragile, da ogni parte si levano voci che ricordano moltissimo quelle che si sentivano allora. Questo è molto pericoloso, anche per coloro che non sono ebrei. Perché dopo gli ebrei, andranno in cerca di altri bersagli”. Nella Confederazione Elvetica ci sono ancora oggi testimoni e attori reali di quanto accadde. Assistere a un on the road che ha le radici nel reale in cui è una bambina che cerca di portare in salvo altri bambini può indurre i giovani spettatori a riflettere non solo sul passato ma anche a guardare a se stessi e a chiedersi se l’indifferenza verso il prossimo sia, come sembrerebbe l’imperativo contemporaneo, l’unica via possibile per sentirsi sicuri.

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