Gli invisibili, regia Claus Räfle con Max Mauff, Alice Dwyer, Ruby O. Fee, Aaron Altaras, Andreas Schmidt, Victoria Schulz, titolo originale: Die Unsichtbaren, Germania, 2017

 

 

Hanni, Eugen, Ruth, Bruno, Cioma appartengono ai millecinquecento ebrei che sono sopravvissuti a Berlino e scampati all’orrore predisposto dalla macchina nazista. Adolescenti all’epoca dei fatti, si separarono dalle loro famiglie e riuscirono a cavarsela cambiando identità o colore di capelli, nascondendosi in appartamenti o dentro un cinema, facendo appello agli amici o a un’altra Germania. Quella che rifiutò di perdersi nella massa, di sottrarsi a ogni impegno di vita personale, di dispensare il proprio io.
Inghiottiti dal cliché della ‘colpa collettiva’, che pesò inesorabilmente nei primi anni del dopoguerra, i fenomeni resistenziali in seno alla folle avventura demoniaca del Terzo Reich non hanno trovato spazio e voce nell’ordine imperdonabile di un tempo concreto che, come tutto ciò che non è più, non concede più riprese.
Ma il film di Claus Räfle, abbracciando le analisi di una storiografia più avvertita e critica, lavora nelle pieghe della Storia, rimette mano alle precedenti ‘stesure’ e separa i giusti, gli altri tedeschi, dal fanatismo senza vergogna e dubbi della Germania nazista, dal radicale farneticare della germanicità su se stessa. Gli invisibili manifesta simbolicamente gratitudine a tutte quelle donne e a quegli uomini che prendendosi il rischio, e in maniera del tutto disinteressata, salvarono gli ebrei durante la guerra. Salvando insieme l’anima di un Paese vittima di un’allucinazione. A raccontare (anche) di loro e della loro resistenza civile non armata, se non di un umanesimo militante, sono i testimoni di ieri, replicati dalla fiction che risale il tempo e incarna con gli attori il flusso del loro vissuto.
Intercalando interviste, finzione e documenti d’epoca, Gli invisibili articola esperienze, emozioni, considerazioni, spunti, riflessioni, inquadrando ciascuna testimonianza nella Storia e svolgendo (letteralmente) le storie private di Hanni, Eugen, Ruth, Bruno e Cioma. Al loro doppio finzionale fa eco il ricordo degli anni di clandestinità filtrato da quanto hanno visto coi propri occhi e vissuto con la rispettiva e incontaminata sensibilità. Gli invisibili, che fa leva sulla poetica del ricordo, canale perfetto per lasciare una propria testimonianza, riapre la riflessione sul cinema di fronte alla Shoah.

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