Zvi Kolitz, Yossi Rakover si rivolge a Dio, Adelphi

 

Nel settembre del 1946 una oscura rivista in lingua yiddish di Buenos Aires, «El diario israelita», pubblicava Yossi Rakover si rivolge a Dio presentandolo come l’ultimo messaggio scritto da un combattente del ghetto di Varsavia mentre il cerchio della morte si stringeva, minuto dopo minuto, intorno a lui – e ritrovato «tra cumuli di pietre carbonizzate e ossa umane, sigillato con cura in una piccola bottiglia». Pochi conoscevano allora con precisione la storia della rivolta ebraica di Varsavia e della tragedia che con essa si consumò, ma subito il testo dell’ignoto combattente che, simile a un nuovo Giobbe, chiama in causa Dio e il suo silenzio di fronte al trionfo dell’orrore cominciò una lunga e
singolare peregrinazione per il mondo, fra Israele, Germania, Francia, Stati Uniti – trasformandosi via via, di traduzione in traduzione, in leggenda. Così la breve e fiera apostrofe a Dio di Yossl Rakover divenne simbolo, lascito testamentario di chi si rivolta contro l’iniquità. E quando il vero autore si fece vivo, rivelandosi come un ebreo lituano emigrato in Palestina allo scoppio della guerra, ci fu chi non volle accettare i fatti. Ne nacque una lunga vicenda di dispute, altamente borgesiana, che finalmente Paul Badde è riuscito a ricostruire: il suo resoconto viene qui proposto insieme a un saggio di Emmanuel Lévinas, che già nel 1955 aveva letto il testo di Kolitz come un «Salmo moderno» nel quale «tutti noi superstiti riconosciamo con sbalordito turbamento la nostra vita».

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