Nino Benvenuti, Mauro Grimaldi, L’ isola che non c’è. Il mio esodo dall’Istria, edizioni Eraclea

 

 

La storia più nascosta di Nino Benvenuti, campione epocale del pugilato e dello sport italiano. I primi anni della sua vita, segnati dal dramma della guerra e dal triste destino della sua cittadina natale, Isola d’Istria, da cui lui e la sua famiglia, incalzati dalle truppe di Tito, dovettero partire. “Molti sapevano – dice oggi Benvenuti – e non hanno fatto nulla. Se non indignarsi quando ormai non serviva più”. Il racconto, che parte dall’infanzia, si ferma al giorno della conquista dell’oro olimpico, nel 1960 a Roma.
Il libro è stato scritto a quattro mani con Mauro Grimaldi, che ricorda alcuni episodi della sua esperienza con Nino Benvenuti. “Premetto che mi sono avvicinato al pugilato considerandolo uno sport nobile e Nino ne è l’esempio. Benvenuti è stata una persona intelligente nel gestire la sua esperienza sportiva, non lo è stato così per tutti. Con Griffith Nino si era battuto in un incontro pesante, ma avevano mantenuto una forte amicizia. Griffith si era ridotto a vivere a New York, senza assistenza sanitaria con poche centinaia di dollari al mese, malato di Alzheimer, perché mentre Nino nel 1971 aveva capito che era giunto il momento di lasciare, lui aveva proseguito per altri sette anni di devastazioni ed è notorio che questa terribile malattia è legata ai traumi presi. Nino gli mandò subito 10.000 dollari per le prime esigenze e poi abbiamo cercato di capire come aiutarlo. Scrivemmo una pubblicazione per raccogliere donazioni e riuscimmo a muovere altre persone. I veri amici si vedono dopo che si sono spente le luci del palcoscenico”.
“Mi sono formato a Isola, da ragazzino ho vissuto momenti terribili come quelli legati alla fine della guerra: diventare stranieri a casa propria: non siete graditi, andatevene. Mio fratello deportato, dato per morto, resuscitò dopo 7 mesi. Mia madre morì a 46 anni per il grande dolore. Queste grandi sofferenze, tenute dentro, hanno modificato il mio carattere e la mia crescita. E’ stato un allenamento a superare i momenti duri e difficili. Mi sono fortificato, ho imparato a superare tutto. Per combattere sul ring dovevo fare sacrifici terribili. Pensate che dovetti perdere rapidamente 5 chili di peso per passare ad un’altra categoria. Per la fame dei vent’anni non era una cosa da poco: succhiarne il sugo e buttare via la carne. il mio ego, abituato a sofferenze diverse, mi aiutò a confrontarmi con coloro che a priori sembravano più forti, che avevano i favori del verdetto”.
Nino ricorda poi la bicicletta del padre, una Bianchi pesantissima, con la quale andava due volte alla settimana a Trieste in palestra, perché Zorzenon gli aveva detto che lì si sarebbero accorti del suo valore. Il ’51 l’anno in cui la famiglia si trasferì a Trieste, per loro Isola era diventata pericolosa. Rimase da solo con i nonni, per far loro compagnia, non se la sentiva di abbandonarli. I primi combattimenti, in piazza a Isola e ancora a Maribor contro un pugile yugoslavo, con quella vittoria sentiva di aver un po’ vendicato la tragedia del suo popolo. “A Porto Recanati seppi che non avrei combattuto alle olimpiadi di Melbourne,- afferma Benvenuti- fu un grande dolore, ma so che l’allenatore agì per il mio bene”.
Il libro si ferma al 1960 alle olimpiadi di Roma. La vittoria alle olimpiadi rappresentava il sogno, la conclusione dell’aspetto dilettantistico della sua carriera, del passaggio ad un’altra storia quella del professionismo. Una storia che però il pugile non disdegna di ricordare, le tante vittorie e poi la sconfitta con Monzon. “Qualcuno dice che avrei dovuto ritirarmi prima di Monzon, ma non era nel mio carattere, dovevo perdere sul ring. E così fui felice di essere sconfitto da uno che era tanto forte, mi diede più gloria.
Quando ti avvicini ad un’icona dello sport – dice Grimaldi – te lo immagini come uno che cammina un metro dal terreno e invece incontrando Benvenuti ho scoperto una persona del tutto diversa, umile. Lui ha fatto la storia: “un italiano che vince a New York” è stato un grande vento. Mi sento fortunato di averlo incontrato”.
Il libro è stato scritto perché i giovani imparino che senza sofferenza, vivendo nell’agiatezza, non si diventa uomini. “Oggi – conclude il pugile – sono stato a Isola, ho rivisto la casa dove sono nato, i posti rimasti uguali e anche le tante cose cambiate, ma ho ritrovato Il mio paese, seimila anime contando anche le galline, dicevano una volta. Oggi ci vive tanta gente che è venuta ai tempi dell’esodo, tanta che è arrivata dopo. Tutto si è rimescolato, ma ho trovato il paese buono che avevo lasciato.  (Arcipelago Adriatico).

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