Nazario Sauro (Capodistria, 20 settembre 1880 – Pola, 10 agosto 1916)
Nacque a Capodistria – quando l’Istria era ancora parte dell’Austria-Ungheria – da genitori di origini romane: il padre Giacomo era un marittimo e la madre, Anna Depangher, lo formò ed educò allo spirito d’amor patrio.
Il suo carattere particolarmente ribelle e gli scarsi risultati scolastici spinsero così il padre a ritirarlo da scuola e a portarlo con sé a bordo delle navi. Iniziò molto giovane l’attività di marinaio, che lo portò all’età di vent’anni al suo primo comando su di una nave mercantile. All’età di 24 anni s’iscrisse alla scuola Nautica di Trieste, ove ottenne il diploma di capitano marittimo di grande cabotaggio.
Dopo essere stato al servizio di varie società di navigazione, tra cui la Società Austro-Americana dei Fratelli Cosulich, la Società Istria-Trieste e il Lloyd Austriaco, nel 1910 passò al servizio della Società cittadina di navigazione a vapore di Capodistria, che dopo la guerra sarà rinominata Compagnia di navigazione Capodistriana. Nella sua vita di ufficiale marittimo, Sauro ha comandato diversi piroscafi passeggeri e da carico, tra i quali il Vittor Pisani, il Cassiopea, il Carpaccio (di proprietà della famiglia Sauro), l’Oltra, il Capodistria, il Quieto e soprattutto il piroscafo San Giusto (che dopo la guerra cambierà nome in Nazario Sauro), che faceva la spola tra Capodistria e Trieste.
Con il Capodistria effettuava spesso trasporti di carbon fossile e bauxite, facendo la spola tra il bacino del fiume Ausa e Trieste, Ravenna, Ancona, Chioggia o Bari. Durante le navigazioni nel mare Adriatico, iniziò a prendere i primi contatti con altri irredenti e a studiare e annotare ogni angolo della costa, i fondali, le insenature, le isole e le terre del Quarnaro e della Dalmazia, comprese le coste albanesi. Le navigazioni costiere, o l’ingresso nei porti dell’Istria e della costa dalmata, gli consentirono anche di raccogliere preziose informazioni sulle difese militari che l’Austria aveva realizzato e che stava predisponendo per prepararsi alla guerra, a protezione dei propri porti e lungo le coste. Egli era convinto che, prima o poi, avrebbe trovato l’occasione di mettere queste preziose informazioni a disposizione della Marina italiana.
Il 21 agosto 1913 furono emanati dal governatore di Trieste i «decreti Hohenlohe», che imponevano alle società e agli enti pubblici locali di licenziare gli impiegati italiani che non fossero sudditi austriaci.
Sauro, non potendo accettare questo programma di cancellazione dell’italianità della Venezia Giulia, entrò immediatamente in conflitto sia col governo marittimo di Trieste, sia con la compagnia di navigazione ove lavorava, continuando ad assumere e imbarcare sul piroscafo San Giusto solo marittimi italiani. Non si assoggettò mai a quella “legge anti-italiana”, né si piegò alle forti pressioni dell’autorità portuale triestina. Per tener testa a questa, dovette più volte subire multe e richiami, fino a che le autorità austriache, stanche delle sue attività contrarie all’Impero, nel maggio 1914 lo fecero dimettere dalla Società di Navigazione dove era impiegato.
Essendo scoppiata la prima guerra mondiale il 28 luglio del 1914, Sauro, che manifestava apertamente e da sempre sentimenti italiani, lasciò pertanto Capodistria il 2 settembre 1914 e in ferrovia raggiunse Venezia, dove insieme con altri esuli sostenne l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria-Ungheria. Egli si pose così, in anticipo rispetto alla politica estera italiana ancora prudente e neutrale, nella duplice posizione sia di cospiratore – sempre pronto a proporre e partecipare ad azioni di «sbarco alla Pisacane» in territorio giuliano-dalmato – sia di informatore; quest’ultima posizione era molto rischiosa a causa del suo essere suddito austriaco: se fosse stato catturato e riconosciuto quando andava a Trieste clandestinamente, da solo o con il figlio, per portare passaporti falsi o per raccogliere informazioni militari sull’Austria, per lui sarebbe stata la forca.
Per questa attività impiegò anche il figlio Nino, che dal primo momento del loro trasferimento a Venezia incominciò a portare clandestinamente passaporti falsi presso il Consolato d’Italia a Trieste: travestito da mozzo si nascondeva nelle stive dei piroscafi che facevano la spola tra Venezia e Trieste. Per questa attività, il Re d’Italia conferirà a Nino Sauro nel 1921 la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: «Educato dal padre a forti sensi di Patria, non ancora dodicenne, sfidando il pericolo di inesorabili repressioni poliziesche portava a compimento con ardire e sagacia, superiori alla sua età, importanti missioni a Trieste e contribuiva efficacemente alla preparazione della guerra e della Vittoria» (Venezia-Trieste, settembre 1914-marzo 1915). A seguito del terremoto che colpì la regione della Marsica il 13 gennaio 1915, Sauro fu tra i primi a partire per dare conforto e soccorso ai superstiti. Una lapide a lui dedicata è esposta dall’8 febbraio 1931 presso il palazzo Municipale di Avezzano e un’altra in via dei Serpenti a Roma.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, Sauro si arruolò volontario nella Regia Marina, dove ottenne il grado di tenente di vascello di complemento (23 maggio 1915). Fu destinato alla Piazza Militare Marittima di Venezia e nelle missioni operò spesso con il nome di copertura di Nicolò Sambo, allo scopo di eludere eventuali sospetti della sua reale identità in caso di cattura. Nei primi mesi propose diversi progetti di azione in territorio istriano; egli intuì, col suo fare e proporre azioni e «sbarchi alla Pisacane», uno stile di combattimento che precorse i tempi, anticipando i corpi speciali e gli assaltatori della Marina, di cui oggigiorno si avvalgono le forze armate moderne. Le sue idee in fatto di strategia militare non andavano però d’accordo con le strategie militari italiane dell’epoca, sia per mare sia per terra, ancora arroccate su un sistema di guerra di posizione e di logorante temporeggiamento.
In 14 mesi di attività Sauro compì oltre sessanta missioni. All’inizio del conflitto fu impiegato come pilota pratico a bordo di piccole siluranti e torpediniere in azioni e missioni lungo le coste istriane e nei canali della Dalmazia per la posa di mine e per creare sbarramenti davanti ai porti austriaci o lungo le rotte costiere istriane e dalmate, che utilizzavano le navi austro-ungariche quando dovevano affrontare il mare aperto. Ma, già allo scadere del primo anno di guerra, il nuovo comandante delle operazioni in Adriatico, l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel cambiò strategia e impose un attivismo maggiore alle navi e sommergibili italiani, impiegandoli sempre più spesso in azioni di forza nei porti austriaci. Fu così che Sauro verrà imbarcato su navi e sommergibili in azioni di forzamento dei porti e delle basi militari nemiche di Trieste, Sistiana, Monfalcone, Pirano, Parenzo e Fiume.
Nell’azione di Parenzo (avvenuta all’alba del 12 giugno 1916), che doveva portare al bombardamento delle aviorimesse dalle quali partivano gli idrovolanti in direzione Venezia, Sauro era imbarcato sul cacciatorpediniere Zeffiro (al comando di Costanzo Ciano), che entrò nel porto austriaco ormeggiandosi grazie all’aiuto che venne dato da tre sentinelle austriache, cui Sauro si era rivolto in lingua veneta (la lingua di servizio della marina austro-ungarica) per agevolare le operazioni di ormeggio della nave italiana; da uno dei tre gendarmi che fu catturato (gli altri due riuscirono a scappare e a dare l’allarme, anche se tardivamente), Sauro riuscì a farsi indicare l’ubicazione degli hangar.
Il 30 luglio 1916, in qualità di ufficiale di rotta, si imbarcò a Venezia sul sommergibile Giacinto Pullino, al comando del tenente di vascello Ubaldo degli Uberti, con il quale avrebbe dovuto effettuare un’incursione su Fiume, ma l’unità, spostata improvvisamente dalla corrente, andò ad incagliarsi sullo scoglio della Galiola, all’imbocco del golfo del Quarnero. Risultati vani tutti i tentativi di disincaglio, distrutti i cifrari di bordo e le apparecchiature e predisposta per l’autoaffondamento, l’unità fu abbandonata dall’equipaggio e Sauro, allontanatosi volontariamente da solo su un battellino, venne intercettato dal cacciatorpediniere Satellit e fatto prigioniero.
Alla cattura seguì il processo nel tribunale della Marina austriaca di Pola. Dopo aver dichiarato la falsa identità di Nicolò Sambo, Sauro venne riconosciuto dai concittadini Giovanni Riccobon, Giovanni Schiavon, dal cognato Luigi Steffè, maresciallo della Guardia di Finanza austriaca. Infine, il confronto drammatico con la madre che, pur di salvarlo dalla forca, negò di conoscerlo (Anna Sauro Depangher morirà di crepacuore nel 1919). La condanna alla pena di morte per alto tradimento, tramite impiccagione, fu eseguita nelle carceri militari di Pola il 10 agosto 1916.
In Italia si venne a sapere della morte di Sauro solo 18 giorni dopo, il 28 agosto
Dopo l’esecuzione, avvenuta alle 19 e 45, il corpo di Nazario Sauro fu sotterrato di notte e in maniera segreta dagli austriaci in area sconsacrata nei pressi del cimitero militare. Solo al termine della guerra la Marina italiana riuscì a sapere il luogo ove era stato sepolto e provvide a riesumarne la salma (10 gennaio 1919) e alla sepoltura, in forma solenne, avvenuta il successivo 26 gennaio nel cimitero di Marina di San Policarpo a Pola.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale l’Istria passerà sotto la giurisdizione della Jugoslavia e Pola, come gran parte della Venezia-Giulia, dovrà essere forzatamente lasciata dagli italiani. Anche la bara di Sauro, avvolta nel tricolore, lascerà Pola a bordo della motonave Toscana, in direzione Venezia, seguendo la sorte di migliaia di esuli. Con lui vennero imbarcate sulla stessa nave anche le spoglie del volontario polese Giovanni Grion (ufficiale dei bersaglieri caduto sull’altopiano di Asiago il 16 giugno 1916) e di sua madre, nonché le ceneri del guardiamarina Sergio Fasulo e del marinaio radiotelegrafista Garibaldi Trolis, periti al largo di Pola nell’affondamento del sommergibile F14. Dal 9 marzo del 1947 Nazario Sauro riposa nel Tempio votivo (famedio) del Lido di Venezia, dedicato a tutti i Caduti della Grande Guerra.