Il 13 maggio 1944 Tito fondò la Sezione per la Protezione del Popolo (OZNA) sul modello sovietico, dopo che nell’autunno 1941 aveva istituito i primi Comitati Popolari di Liberazione come rete spionistica contro i “nemici del popolo” e dopo che già dal 1942 funzionava un’efficiente polizia politica slovena. Il 15 agosto ’44 decretò altresì la formazione del braccio armato dell’OZNA: il KNOJ.
Appena l’Armata Rossa prese Belgrado, OZNA e NKVD sovietico attuarono la repressione. Le vittime del “terrore rosso” sarebbero state circa 10.000 e in tutta la Serbia 30.000, ma fonti filo-cetniche parlano di 150.000. Dopo una prima fase assai cruenta si passò a una seconda in cui dai prigionieri torturati «si estorcevano informazioni necessarie per passare ad una nuova ondata di arresti che questa volta potevano essere mirati». Fra il 17 ottobre ’44 e il 15 febbraio ’45 la Voivodina, appena conquistata, fu sottoposta a un governo militare. OZNA e KNOJ scatenarono una sistematica pulizia etnica contro tedeschi e ungheresi: 105.740 persone sarebbero finite in campo di concentramento, mentre 50.000 tedeschi e 5.000 ungheresi sarebbero stati uccisi. Il governo militare instaurato in Kosovo fu particolarmente duro con gli albanesi. A fine ’44 l’OZNA era suddivisa in quattro sezioni: 1) spionaggio nell’apparato nemico; 2) sorveglianza nel territorio liberato dei non comunisti partecipanti alla lotta partigiana e di quanti vi erano rimasti estranei o vi si erano opposti; 3) controspionaggio nelle forze armate; 4) raccolta informazioni all’estero. Nel marzo-aprile 1945 sorsero altre due sezioni: 5) contrasto degli agenti anglo-americani in Jugoslavia e nella Zona A della Venezia Giulia; 6) protezione dei trasporti (compresi quelli dei collaborazionisti consegnati dagli inglesi).
Secondo una circolare del dicembre 1944, dopo che i territori occidentali fossero stati conquistati, l’OZNA avrebbe effettuato le epurazioni; quindi il potere sarebbe passato ai comitati di liberazione popolare, che avrebbero subito schedato tutta la popolazione; in ogni distretto sarebbe stato istituito un campo di lavori forzati. Il 9 aprile 1945 il capo dell’OZNA Aleksandar Rankovic firmò una Direttiva per la liquidazione finale del nemico. A Zagabria i massacri si protrassero dal maggio all’agosto interessando forse 15.000 persone. A Trieste, Udine, Milano, Bologna e Roma un’intensa attività spionistica fu avviata fin dal 1943. A Bari l’OZNA operò fin dagli inizi essendo stata istituita lì la sua direzione nell’estate ’44 e numerosi ufficiali jugoslavi vi rimasero anche dopo il 1945. Gli angloamericani sospettavano che gli jugoslavi fornissero anche armi in sostegno ai separatisti siciliani». L’OZNA si infiltrò nei campi profughi per sorvegliare sia gli jugoslavi anticomunisti sia gli istriano-fiumano-dalmati.
Trieste fu la prima grossa operazione dell’OZNA slovena. Gli inglesi permisero arresti ed eccidi di massa nell’auspicio che screditassero la causa comunista in Italia. Dopo i 40 giorni rimase in città un quartier generale dell’OZNA volto a spiare il Governo Militare Alleato. L’OZNA fu sciolta il 31 gennaio 1946. I servizi di guardia alla frontiera passarono all’Armata Popolare Jugoslava, quelli di ordine pubblico alla Milizia Popolare, quelli di schedatura all’UID e quelli operativi all’UDB-a, entrambe alle dipendenze del Ministero dell’Interno, lo spionaggio militare (VOS) e il controspionaggio (KOS) al Ministero della Difesa, mentre la SID agli Esteri. Il KNOJ invece fino al 1953 diede la caccia alle residue sacche di resistenza ustascia in Croazia e Bosnia e cetniche in Bosnia, Montenegro e Serbia, causando inoltre migliaia di morti tra Kosovo e Macedonia.
Solo grazie a un temibile apparato di sicurezza indipendente da Mosca Tito poté vincere la sfida lanciatagli da Stalin nel 1948. Rankovic ammise che per le prigioni jugoslave transitarono dal 1945 al 1951 3.777.776 persone (su una popolazione di circa 13 milioni di abitanti) e circa 568mila furono i “nemici del popolo” liquidati, la maggioranza nei primi mesi del terrore del 1945.

Paolo Radivo, «L’Arena di Pola», 19/12/2012

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