Stalin (Gori 1879 – Mosca 1953)

 

Josif Vissarionovič Džugašvili, noto col suo pseudonimo Stalin, che significa «uomo d’acciaio», nacque a Gori, in Georgia, nel 1879 in una famiglia povera. Fatti gli studi in seminario a Tiflis, diventò marxista. Nel 1898 aderì al Partito operaio socialdemocratico russo, quindi nel 1903 alla corrente bolscevica creata da Lenin. Fu più volte arrestato e deportato in Siberia, dalla quale venne liberato nel 1917 dopo il crollo dello zarismo. Giunti i bolscevichi al potere nell’ottobre 1917, Stalin fece parte del governo come commissario alle nazionalità fino al 1923.
Nel corso della guerra civile tra ‘rossi’ e ‘bianchi’ (le forze zariste) dimostrò grandi capacità di organizzatore, per cui Lenin nel 1922 lo fece nominare segretario generale del Comitato centrale del partito, carica che egli sfruttò per aumentare in modo spregiudicato il suo potere personale. Ciò indusse Lenin, gravemente malato, a raccomandare nel suo testamento di allontanare Stalin dai vertici del partito.
Morto Lenin nel 1924, la sua raccomandazione venne ignorata e Stalin, proclamatosi il più devoto seguace del leninismo, nella lotta per il potere nel partito sconfisse prima tra il 1923 e il 1927 i suoi rivali Lev D. Trockij, Gregorij E. Zinov´ev e Lev B. Kamenev, poi nel 1928-29 anche N.I. Bucharin, con il quale si era precedentemente alleato. Nei suoi scritti Principi del leninismo (1924) e Questioni del leninismo (1928) Stalin – che con efficacia contrastò l’idea di Trockij secondo cui sarebbe stato impossibile costruire il socialismo in un paese arretrato come la Russia senza la vittoria della rivoluzione internazionale – sostenne al contrario, con una forte ispirazione nazionalistica, che era possibile dar vita al «socialismo in un paese solo».
Tra il 1929 e il 1939 Stalin trasformò profondamente la società sovietica. L’economia fu pianificata e furono lanciati i piani quinquennali. Le terre vennero collettivizzate, l’opposizione dei contadini stroncata con grande violenza, l’industrializzazione avviata su vasta scala. L’intera società si trovò sottoposta al dominio del partito comunista e della polizia. Contro gli oppositori supposti o reali furono scatenate ondate di terrore, con ‘purghe’ che portarono alla deportazione o alla morte di parte dei vertici dello stesso partito, di tecnici, capi militari, intellettuali e uomini comuni. Milioni di deportati nei campi di prigionia – il gulag – furono utilizzati come forza lavoro servile.
D’altro canto Stalin, il capo infallibile, ebbe anche entusiasti sostenitori, e divenne oggetto di uno sfrenato culto della personalità. Il sistema da lui creato fu poi definito stalinismo.
Nel corso degli anni Trenta Stalin cercò un’intesa con la Gran Bretagna e la Francia contro la Germania nazista, ma nell’agosto del 1939 – di fronte alla riluttanza di quelle – strinse un patto con i nazisti spartendosi la Polonia, che però non impedì a questi ultimi, sconfitta la Francia nel 1940, di aggredire l’Unione Sovietica nel giugno 1941. Dopo iniziali gravissime sconfitte, l’Armata rossa, vinta la battaglia di Stalingrado, passò al contrattacco arrivando a Berlino nel 1945.
Tra il 1945 e il 1948 Stalin estese la dominazione sovietica nell’Europa dell’Est. Il suo trionfo gli fece acquisire un potere enorme. Morì a Mosca nel 1953 al culmine della sua potenza, osannato dai comunisti di tutto il mondo, ma nel 1956 il leader sovietico Nikita S. Chruščëv ne demolì il mito denunciandone i crimini al 20° Congresso del partito comunista e dando inizio a quella che è stata definita la destalinizzazione.

da Enciclopedia Treccani

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